Alcaloidi tropanici e contaminazione alimentare: in aumento il numero di allerte e l’incidenza dei foodborne outbreaks
Gli alcaloidi tropanici sono metaboliti secondari tossici (circa 200 composti noti) prodotti naturalmente da piante appartenenti al genere delle Brassicaceae, Solanaceae, Proteaceae, Rhizophoraceae ed Erythroxylaceae. La loro produzione rappresenta per le piante un valido meccanismo di difesa contro le infestazioni da parassiti, ma nel contempo anche una preoccupante fonte di contaminazione per alimenti e mangimi.
Un'intossicazione da alcaloidi tropanici può avere notevoli effetti avversi sulla salute umana ed animale quali secchezza delle mucose, arrossamento della pelle, dilatazione delle pupille, vertigini, disturbi della vista, palpitazioni, disorientamento, allucinazioni, insufficienza respiratoria e paralisi del sistema nervoso parasimpatico.
La contaminazione di alimenti e mangimi da alcaloidi tropanici rappresenta un problema molto preoccupante di sicurezza alimentare in costante aumento. Dal 2019 ad oggi gli alcaloidi tropanici sono stati responsabili di numerose allerte alimentari (oltre 50) e di gravi foodborne outbreaks tra i quali ricordiamo:
- il focolaio alimentare avvenuto in Uganda nel 2019 che è stato causato da aiuti umanitari a base di soia contaminati da alcaloidi tropanici di Datura stramonium e che si è reso responsabile di oltre 300 ospedalizzazioni e 5 decessi. (Data source: Safety Hud)
- il focolaio alimentare avvenuto in Slovacchia e Repubblica Ceca nel Marzo 2021 che è stato causato da una purea di spinaci surgelati contaminata da alcaloidi tropanici di Datura stramonium e che si è reso responsabile di oltre 100 ospedalizzazioni. (Data source: Safety Hud)
Le principali derrate alimentare soggette a contaminazione da alcaloidi tropanici sono i prodotti a base di cereali quali grano saraceno, miglio, sorgo e mais, i vegetali, i legumi, il tè e gli infusi, i semi oleaginosi, gli integratori alimentari e il miele.
Gestire la contaminazione alimentare da alcaloidi tropanici non è semplice poiché le piante che producono queste molecole tossiche sono ubiquitarie e sono in grado di infestare facilmente ogni tipo di coltivazione e raccolto. Al fine di mitigare il rischio è fondamentale, da parte dell’agricoltore, rispettare le buone pratiche agricole (GAP) e le buone pratiche di stoccaggio e trasporto del prodotto (GSP). Tra queste si citano:
- la scelta del suolo più idoneo per una specifica coltivazione e la sua bonifica.
- l’utilizzo di semi certificati e resistenti atti a garantire una materia prima di qualità.
- la corretta rotazione delle colture e la giusta tempistica di raccolta del prodotto.
- ispezioni visive e di routine dei campi, identificazione, sradicamento e smaltimento adeguato delle erbe infestanti.
- il controllo degli infestanti attraverso adeguate concentrazioni di fertilizzanti e fungicidi nei limiti previsti dalla normativa vigente.
- la pulizia accurata dei contenitori di stoccaggio e di trasporto del prodotto.
Inoltre, è fondamentale da parte dell’industria alimentare un’accurata selezione dei fornitori di materie prime e delle zone di approvvigionamento delle stesse, il rispetto delle buone pratiche di fabbricazione degli alimenti (GMP) ed un costante controllo qualità (HACCP, ISO 22000, piani analitici e di audit) durante tutte le fasi di lavorazione dell’alimento (dal ricevimento della materia prima al prodotto finito) al fine di produrre alimenti sicuri che rispettino le normative vigenti, che garantiscano il successo della produttività aziendale e che assicurino il benessere della salute pubblica.