TONNO SOSTENIBILE - UN FUTURO POSSIBILE?
Il tonno è uno degli alimenti più presenti nelle nostre cucine e che molte volte acquistiamo senza farci troppe domande riguardo la preservazione di questa importante specie marina. Essendo presente in molti piatti, dal sushi ai panini e ai poke, il tonno è tra i pesci preferiti al mondo. Ma le nostre attuali abitudini di pesca del tonno sono sostenibili?
SCENARIO INTERNAZIONALE
Secondo quanto indicato in uno studio pubblicato da Fisheries Research, una rivista scientifica specializzata nella pubblicazione di articoli inerenti la scienza, la tecnologia e la gestione della pesca, la risposta potrebbe purtroppo essere negativa.
Le catture a livello globale sono aumentate di oltre il 1000% negli ultimi sessant’anni in seguito ad una massiccia espansione della pesca industriale causata da un forte aumento della domanda.
I dati indicano che questa espansione, che è arrivata fino ad un quantitativo di sei milioni di tonnellate in un anno, sta oramai operando oltre il livello di capacità del sistema. Essa ha sfruttato eccessivamente le popolazioni, sia di tonno che di altre grandi specie ittiche, e si è estesa al punto in cui non rimangono più nuove zone di pesca esplorabili.
In questo contesto difficile, quali parametri può considerare il consumatore per effettuare delle scelte sostenibili quando si tratta di acquistare del tonno?
CERTIFICAZIONI DI SOSTENIBILITÁ
Innanzitutto, a livello internazionale esiste il sistema delle quote, secondo il quale ogni nazione deve rispettare un limite quantitativo, non può pescare quindi più di un numero definito di tonnellate di tonno ed in periodi precisi dell’anno: in Italia per esempio questo periodo va da giugno ad ottobre.
Esistono inoltre certificazioni che garantiscono che i produttori hanno utilizzato metodi sostenibili per la pesca del tonno. La più conosciuta è indubbiamente la certificazione MSC, acronimo di Marine Stewardship Council, un’organizzazione non profit che opera per promuovere la pesca sostenibile. Questo standard è stato sviluppato da un vasto numero di esperti tra cui scienziati, rappresentanti dell’industria della pesca e organismi di controllo.
Al fine di ottenere e mantenere la certificazione, un'attività di pesca deve garantire che:
- gli stock ittici siano sostenibili: nel mare resta un numero di pesci sufficiente a riprodursi potenzialmente all'infinito;
- gli impatti ambientali siano ridotti al minimo: le operazioni di pesca devono essere attentamente gestite per mantenere la struttura, la produttività, la funzionalità e la diversità dell'ecosistema marino;
- le attività di pesca siano gestite in modo efficiente: la pesca deve essere gestita in modo responsabile nel rispetto delle leggi vigenti e deve basarsi su un sistema di gestione che consenta di rispondere rapidamente ai cambiamenti esogeni.
Questi parametri sono alla base della valutazione, che viene svolta da enti di certificazione indipendenti che svolgono controlli ogni anno per verificare il rispetto dei requisiti.
Un altro marchio di sostenibilità molto diffuso è Friend of the sea. Per avere la certificazione, le aziende devono operare secondo precisi criteri:
- utilizzare stock di pesce che non sono sovrasfruttati;
- eliminare l’impatto sui fondali marini;
- scegliere metodi di pesca selettiva per non catturare specie minacciate e avere al massimo l’8% di scarti;
- rispettare le norme;
- migliorare il bilancio energetico e ottimizzare l’efficienza del carburante;
- avere una gestione sostenibile dei rifiuti e un profilo di responsabilità sociale.
Infine, il marchio Dolphin safe, creato per certificare il tonno pescato con tecniche che non mettevano a rischio i delfini, ormai può essere applicato a quasi tutto il tonno in scatola venduto in Italia, perché le tecniche di pesca in uso non minacciano i delfini.
TUTTO CIÒ È DAVVERO SOSTENIBILE?
Tali certificazioni, pur rappresentando tuttora la migliore garanzia possibile ai fini di una scelta sostenibile, sono state oggetto nel tempo di alcune critiche, sollevate da parte di alcune organizzazioni non governative che operano nell’ambito della tutela ambientale, inerenti le reali garanzie offerte ai fini della salvaguardia delle specie ittiche. Queste critiche si sono basate sull’ipotesi che non sempre il pescato presentato come sostenibile lo è davvero, perché in certi casi può provenire da stock sovrasfruttati o nei quali sono stati applicati sistemi di pesca a forte impatto ambientale (per esempio, reti da traino in luogo di sistemi più “artigianali” come la pesca a canna il cui rapporto uno-a-uno non consente di catturare le enormi quantità raccolte dai grandi pescherecci ed evita le catture accessorie e cioè delfini, squali, tartarughe marine etc).
Indubbiamente la certificazione aiuta i consumatori a riconoscere i prodotti che vanno nella giusta direzione però i criteri non sempre vengono applicati in modo rigoroso e nessuna dà un’assoluta garanzia di fornire una pesca 100% sostenibile. È necessario andare oltre e devono essere le aziende in primis a impegnarsi sempre di più in modo concreto e a comunicare in modo chiaro i criteri adottati in tema di sostenibilità. Una pratica sostenibile, oltre ai già citati sistemi di pesca a basso impatto ambientale è rappresentata dalla scelta di tipologie diverse di specie quali il tonnetto striato (Katsuwonus pelamis), magari meno adatte ad alcuni utilizzi ma meno a rischio di altre più famose come il tonno rosso e il pinna gialla.
In conclusione, nonostante la materia presenti delle incertezze tuttora oggetto di dibattito, il consumatore rimane in possesso di un grande potere e cioè della possibilità (nonché della volontà) di informarsi, al fine di effettuare in consapevolezza la scelta eticamente migliore per un futuro sempre più sostenibile.